Lo Straniero


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Albert Camus LO STRANIERO Titolo originale: L'Étranger Traduzione di Alberto Zevi Casa Editrice: Bompiani Anno: 1987 PARTE PRIMA 1. Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti." Questo non dice nulla: è stato forse ieri. L'ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l'autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l'aria contenta. Gli ho persino detto: "Non è colpa mia." Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo. Insomma, non avevo da scusarmi di nulla. Stava a lui, piuttosto, di farmi le condoglianze. Ma certo lo farà dopodomani, quando mi vedrà in lutto. Per adesso è un po' come se la mamma non fosse morta; dopo il funerale, invece, sarà una faccenda esaurita e tutto avrà preso un andamento più ufficiale. Ho preso l'autobus delle due: faceva molto caldo. Prima ho mangiato in trattoria, da Celeste, come al solito. Avevano tutti molta compassione per me e Celeste mi ha detto: "Di mamme ce n'è una sola." Quando ho fatto per andarmene, mi hanno accompagnato alla porta. Ero un po' intontito perché ero anche andato su da Emanuele a farmi prestare una cravatta nera e una benda per il braccio. Lui ha perso suo zio qualche mese fa. Ho dovuto correre per non perdere l'autobus. La gran fretta, la corsa, certo è per questo, oltre alle scosse, all'odor di benzina, al riverbero della strada e del cielo, che presto mi sono assopito. Ho dormito quasi tutto il percorso. E quando mi sono svegliato ero addossato a un militare che mi ha sorriso e mi ha chiesto se venivo di lontano. Ho detto "Sì" per non dover più parlare. L'ospizio è a due chilometri dal villaggio: ho fatto la strada a piedi. Volevo vedere subito la mamma, ma il portinaio mi ha detto che dovevo prima andare dal direttore. Siccome era occupato, ho atteso per un po' e intanto il portinaio non smetteva di parlare. Poi ho visto il direttore: mi ha ricevuto nel suo ufficio. È un vecchietto col nastrino della Legion d'onore. Mi ha fissato con i suoi occhi chiari, poi mi ha stretto la mano e l'ha tenuta così a lungo che non sapevo come fare per ritirarla. Ha consultato un incartamento e mi ha detto: "La signora Meursault è entrata qui tre anni fa. Voi eravate il suo unico sostegno." Ho creduto che mi rimproverasse qualcosa e ho cominciato a spiegargli. Ma lui mi ha interrotto: "Non avete da giustificarvi, caro figliolo. Ho letto la pratica di vostra madre. Voi non eravate in grado di provvedere ai suoi bisogni. Aveva bisogno di un'infermiera. Il vostro stipendio è modesto. E, in fondo, lei era più felice qui." Ho detto: "Sì, signor direttore." Lui ha soggiunto: "Capirete, aveva degli amici, persone della sua età. Con loro, poteva avere in comune interessi che sono di un altro tempo. Voi siete giovane e con voi doveva annoiarsi." Aveva ragione. Quando era a casa la mamma passava il suo tempo a seguirmi con lo sguardo in silenzio. I primi giorni, all'ospizio, piangeva spesso. Ma era per via dell'abitudine. Dopo qualche mese, avrebbe pianto se l'avessero portata via di lì. Sempre per l'abitudine. è un po' per questo che l'ultimo anno non ci sono andato quasi più. E anche perché così perdevo tutta la domenica - a parte la fatica di prendere l'autobus, comprare i biglietti, e fare due ore di viaggio. Il direttore mi ha parlato ancora. Ma io non lo ascoltavo quasi più. Poi mi ha detto: "Immagino che vorrete vedere vostra madre." Mi sono alzato senza dir nulla e lui si è avviato per primo verso la porta. Scendendo le scale, mi ha spiegato: "L'abbiamo trasportata nel nostro piccolo obitorio. È per non impressionare gli altri. Ogni volta
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