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Karl Abraham applica qui la psicologia del profondo a temi mitologici, onirici e simbolici, confrontando tra loro sogni e miti. Ciò che impressiona in questo studio grandioso è come Abraham sappia coniugare le sue concise e brillanti conclusioni a uno stile sempre preciso e inequivocabilmente chiaro. Prefazione di Giovanni Sias.
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Presentazione «Quando a due formazioni psichiche che esteriormente mostrano differenze così rilevanti come accade nel sogno e nel mito è applicabile lo stesso metodo di ricerca, si può scorgere in ciò una nuova conferma dell’ipotesi che sotto differenze esteriori si nasconde un’intima affinità». Biblioteca Bollati Boringhieri 216 Titoli originali Traum und Mythus. Eine Studie zur Völkerpsychologie (1909) Über hysterische Traumzustände (1910) Einige Bemerkungen über den Mutterkultus und seine Symbolik in der Individual- und Völkerpsychologie (1911) Eine Traumanalyse bei Ovid (1911) Zur narzisstischen Bewertung der Exkretionsvorgänge in Traum und Neurose (1919) Die Spinne als Traumsymbol (1922) Zwei Beiträge zur Symbolforschung (1923) I testi qui raccolti sono tratti da Opere di Karl Abraham, a cura di Johannes Cremerius, 2 voll., Boringhieri, Torino 1975 © 2012 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol ISBN 978-88-339-7142-1 Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www.bollatiboringhieri.it Prima edizione digitale maggio 2012 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata Prefazione Quello che ci manca oggi, e che forse è scomparso da tempo con la morte degli ultimi grandi maestri (Wilfred Bion e Jacques Lacan in particolare), è lo spirito di ricerca che ha caratterizzato la prima generazione degli psicoanalisti. Uno spirito che Karl Abraham ha incarnato in modo particolare e che l’ottima Introduzione di Johannes Cremerius alle Opere di Abraham mette in risalto con grande precisione.1 Negli scritti raccolti nel presente volume la tensione del ricercatore è particolarmente evidente. Certo, con gli strumenti intellettuali del suo tempo e avendo a disposizione il linguaggio ancora un po’ primitivo della psicoanalisi. Ma è proprio questo il punto nodale, e cioè che lo sforzo titanico di Freud e della prima generazione di analisti fu rivolto a dotare la nuova scienza di un suo linguaggio, con tutti i problemi che tale ricerca comportò. Nella seconda generazione già si fece meno ricerca, e si optò piuttosto, al di là delle intenzioni dei primi analisti, per un certo linguaggio consolidato, un gergo derivante da considerazioni su patologie e terapie. Si cercò in tal modo di dare credibilità a quella che si volle definire una nuova scienza medica, dimenticando che la psicoanalisi era una nuova scienza tout court, assai particolare.2 Molti fra gli psicoanalisti dell’epoca, quelli ancora legati alla prima generazione come Bruno Bettelheim o Siegfried Bernfeld, criticarono aspramente il nuovo corso. Nuovo e disastroso, se si tiene conto che gli analisti di terza generazione abbandonarono quasi interamente la ricerca, affidandosi ai libri dei maestri per evitare la responsabilità dell’interpretazione, soprattutto nel timore di essere tenuti a distanza dalla categoria dei medici e da un contesto professionale che si rivolgeva a una società sempre più medicalizzata. Il passaggio è storicamente noto: la «psiche» scivolò in una «mente» in cui individuare la genesi di processi ridotti alla stregua di una malattia. Ma così, con l’interruzione dell’elaborazione e rielaborazione di quel linguaggio che legava la conoscenza della psiche alle istanze della cultura, la ricerca psicoanalitica s’incamminò verso la sua fine. Karl Abraham era particolarmente interessato alla filogenesi dei processi psichici relativi all’organizzazione della vita inte